Ambientalismo
08 gennaio 2023

Cingolani, ex ministro della transizione ecologica nel governo Draghi, è consulente del governo Meloni per impoverirci
La continuità dei governi sotto l'egida della linea europea maltusiana

GLI ERRORI DEL CONSULENTE PER L’ENERGIA DEL GOVERNO MELONI


Il 22 agosto 2021, sei mesi prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, pubblicavamo su queste pagine un articolo col quale ponevamo 7 domande all’allora ministro Roberto Cingolani. Riporto il testo della settima domanda di allora: «La tedesca Ursula von der Leyen spinge per l’azzeramento delle emissioni, ma nel frattempo la tedesca Angela Merkel sta ultimando assieme a Putin (e con la benedizione di Biden) il gasdotto Nord Stream 2 che dalla Russia, senza passare per altri Paesi, in particolare senza passare né per Ucraina né per Polonia, giunge direttamente in Germania. Forse che in Germania v’è una mano sinistra che non sa cosa faccia la destra? Direi piuttosto che se col Green new deal (Gnd) la Polonia fosse costretta a chiudere le proprie miniere di carbone, poi sarebbe costretta ad acquistare dalla Germania il gas che a questa arriva dalla Russia. E, lo stesso altri Paesi europei, inclusa l’Italia, dipenderebbero vieppiù dalla Germania. Complottismo? Boh… Il gasdotto sarà ufficialmente completato il 23 agosto, guarda caso anniversario del Patto Molotov-Ribbentrop col quale Hitler e Stalin si spartirono l’egemonia sulla Polonia occidentale e orientale, rispettivamente. Quella della CO2 sembra essere solo la nuova arma di antiche, mai sopite, mire tedesche. Ora, la Polonia faccia quel che vuole, ma io fossi in lei, signor Ministro, cioè volessi fare, come da giuramento, gli interessi dell’Italia, respingerei la trappola tedesca del Gnd e, piuttosto, mi curerei in salute (anche se al momento precaria) e cercherei di incrementare celermente la produzione elettrica da carbone in Italia. Lei signor Ministro che ne dice? Quali interessi prevarranno, quelli tedeschi o quelli italiani?».


Naturalmente Cingolani non si peritava di fornire alcuna risposta e, anzi, esplicitamente snobbava la sola semplice ipotesi non solo di incrementare l’uso del carbone ma anche di rivedere il progetto di chiudere definitivamente con esso. Il 23 ottobre 2021, presenziando a «Digithon 2021» (definita dai media la più grande maratona digitale italiana) dichiarava Cingolani: «La cosa più urgente in questo momento è chiudere le centrali a carbone entro il 2025». Alla Verità non siamo veggenti ma, esercitando un minimo di logica – anche solo quella imperfetta aristotelica – e guardando ai fatti senza avere gli occhi foderati da fette di mortadella ideologica, l’invito a incrementare l’uso del carbone appare più che giustificato, oggi. O meglio: non oggi  ma già dal febbraio 2022 e dalla scelta della Ue, e italiana, di partecipare attivamente al conflitto parteggiando dichiaratamente contro il principale fornitore di gas. O, ancora meglio, diversi mesi prima, quando era evidente che sul gas era in atto una speculazione che nulla aveva a che fare col conflitto, speculazione di cui chi scrive non era consapevole perché seguire la borsa del gas non è né il suo mestiere né un suo hobby, ma che un ministro all’energia non poteva ignorare.


Poteva Cingolani essere accusato d’incompetenza per quella affrettata dichiarazione dell’ottobre del 2021? A voler, correttamente, essere indulgenti, no: nessuno è infallibile. Epperò, ancora il 22 giugno 2022, partecipando al convegno delle Imprese elettriche di Confindustria, Cingolani dichiarava: «non riapriremo le centrali a carbone chiuse». Come sappiamo, già nel settembre successivo si rimangiava tutto e  attivava ben 7 centrali a carbone, aumentandone pure la potenza d’esercizio. Cingolani s’è giustificato dicendo che nessuno avrebbe potuto prevedere il conflitto e le sue conseguenze. 


A questo punto l’indulgenza da parte nostra non è più giustificata. Cingolani ha ignorato – ma ammettiamo che non era tenuto a prenderlo in considerazione – il nostro amatoriale stimolo dell’agosto del 2021; dell’ascesa del prezzo del gas (ben prima dell’inizio del conflitto in Ucraina) o non ne sapeva nulla o stava deliberatamente ignorandolo – e ci asteniamo dal dire quale delle due cose sia stata più grave; in pieno conflitto ha continuato ad operare come se non ci fosse alcun conflitto, continuando a perseguire una politica energetica vagheggiante il potenziamento delle rinnovabili e del gas quale componente transitorio; fino a doversi rimangiare tutto senza ammettere alcun errore. «L’emergenza russa nessuno se la poteva né immaginare né aspettare», si giustificava Cingolani. Noi, uomo della strada, certo no, ma lui ministro di un governo, poteva ben immaginarlo e aspettarselo: era del 12 luglio 2021 l’articolo «Sull’unità storica di russi e ucraini» ove l’autore – Vladimir Putin – informava, chi nel mondo aveva orecchie per intendere, dei fatali sviluppi della Storia.


Perché stiamo qui a rivangare gli errori di un ministro di un governo che ha fallito e che non c’è più, chiederete. Perché si dà il caso che l’ex-ministro, che ha fallito su tutti i fronti, sia stato nominato consulente per l’energia di questo governo, nomina suggerita fortemente dal presidente del consiglio uscente, nei confronti del quale quello attuale sta forse usando eccessiva cortesia. Questa innaturale commistione tra vecchio perdente e nuovo (sperabilmente) vincente non potrà far bene al Paese. La questione-carbone italiana è molto semplice e la sua cogenza era, ed è, evidente a prescindere dalle speculazioni sul gas e dalla guerra di Putin. La diversificazione tra le fonti energetiche è elemento necessario alla sicurezza di approvvigionamento, soprattutto se esse sono, come nel nostro caso, necessariamente d’importazione. E, in questo caso, si aggiunge, come altro elemento necessario alla sicurezza, anche la diversificazione tra i fornitori. In assenza di nucleare, allora, è essenziale che le nostre fonti di approvvigionamento siano ripartite tra gas e carbone, a vantaggio di quest’ultimo per la maggiore possibilità che esso offre di diversificare tra i fornitori. La mossa tedesca cui accennavamo all’inizio nel nostro articolo dell’agosto 2021, il tentativo della Germania di proporsi quale quasi obbligato punto di passaggio del gas nel centro dell’Europa, avrebbe dovuto essere già allora un campanello d’allarme. Non averne sentito il tintinnio dimostra solo l’approssimazione con cui hanno operato i governi Conte, prima, e Draghi, poi. Confidiamo che il governo Meloni non commetta gli stessi errori ma, se così sarà, non potrà che esserlo, necessariamente, contro il parere del proprio consulente Cingolani. Almeno finché questi non ammetta quelli da egli commessi.


Franco Battaglia

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano LA VERITÀ il giorno 7 gennaio 2023


P.S. Nell’agosto 2021 scrivevamo, ignari: «la Polonia faccia quel che vuole». Oggi, però, sappiamo cosa la Polonia ha fatto: poche settimane fa ha ordinato alla Westinghouse tre nuovi reattori nucleari.










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