27 dicembre 2022

Diario di prigionia di un soldato italiano


Dio è il signore e padrone della storia.

Quindi tutte le teorie più o meno farneticanti sulla fine della storia sono semplicemente un tipo di esercitazione mentale che non hanno alcun fondamento né pratico né tantomeno scientifico.

Ma la storia, come anche Dio, è in continuo divenire e si deve adeguare a scoperte, ad analisi, a ricerche che mutano con il passare del tempo, quindi anche parlare di revisionismo è in sostanza assurdo in quanto siamo di fronte ad un continuo mutare degli aggiornamenti e della scoperta di nuove fonti prima sconosciute.

E’ ovvio che se per mio interesse personale, o per un mantenimento forzoso di certe vulgate più o meno interessate, una casta di personaggi vogliano per forza mantenere ingessati i concetti, o vogliano contaminare qualsiasi forma di avanzamento delle nuove ricerche questo vuol dire solamente che costoro lottano unicamente per il mantenimento del loro status di privilegio. E cosa fanno? Bollano come assurdo o peggio ideologicamente contaminato qualunque tipo di ricerca o aggiornamento in quanto non seguendo la falsariga di chi, è il vincitore, impongono per forza che nulla cambi e che tutto resti immobilizzato

Qui siamo di fronte ad un libro che sfata con ingenuità e candore tutte queste elucubrazioni mentali: in sostanza sono delle piccole grandi testimonianze che dipingono un’epoca storica complessa come quella del XX secolo.

In tutta la narrazione c’è un fil rouge che unisce in maniera sottile, ma solida le vicende. In sostanza le parti principali sono due; la biografia di Adolfo Gómez Ruiz appartenente ad una famiglia le cui sue origini risalgono al Cid Campeador, insignita del titolo di Grande di Spagna; l’altra il diario di prigionia di un ufficiale di complemento del Regio Esercito, Vittorio Garofoli, che scrive in forma di diario le traversie di soldato italiano fatto prigioniero dai tedeschi in Grecia.

Due tipi di realtà diversissime, ma i cui personaggi brillano di una luce ben definita e netta nella narrazione. Entrambi sono testimonianze inoppugnabili: la prima è la narrazione della vita di questo grande, ma quasi sconosciuto personaggio, fatta dal nipote che ovviamente ha accesso a tutta una serie di documenti, di scritti unici che il nonno aveva conservato ed archiviato meticolosamente ed anche in maniera molto ordinata. Alla narrazione si affiancano una serie di foto assolutamente inedite gentilmente concesse dalla signora Maria del Pilar figlia del personaggio e naturalmente madre di chi, con pazienza, ha guidato per circa due anni, l’autore del libro nella stesura di questa parte.

Dopo l’ennesimo processo davanti ad un Tribunale del Popolo Adolfo Gómez Ruiz risponde con fierezza e coerenza alle domande che il giudice gli rivolge talvolta in maniera subdola, o quando cerca di blandirlo offrendogli un salvacondotto per sé e per la sua famiglia se riconoscerà la legittimità del governo repubblicano.

Ma signor Gómez Ruiz, se le venisse richiesto di giurare fedeltà alla repubblica per avere definitivamente salva la sua esistenza e quella della sua famiglia lei giurerebbe lealtà al legittimo governo spagnolo?”

No mai e poi mai signor Presidente! La vita è un dono di Dio e non è negoziabile né può essere merce di scambio! E tanto meno con voi che la vita disprezzate e mettete ogni giorno sotto i piedi con azioni infami e menzogne costanti!”

La risposta è lapidaria: non rinuncio a me stesso ed agli ideali per cui ho lottato. Viene condannato a morte, ma alla fine del dibattimento il giudice lo fa avvicinare al suo scanno e gli dice con convinta ammirazione: “Don Adolfo Gómez Ruiz usted es todo un hombre” Dopo di che si fa portare due bicchieri ed insieme brindano alle fortune della Spagna, ognuno, si intende, a modo suo.

La sentenza, probabilmente per l’intervento del medesimo giudice, non viene eseguita e in carcere Don Adolfo attenderà la fine della guerra civile e la vittoria di Franco. Verrà raggiunto anche dalla tragica notizia della fucilazione di Josè Antonio Primo de Rivera suo grande amico e compagno di battaglie politiche.

Diventerà, in seguito, Jefe National de la Obra Sindacal “18 de julio” il Ministero della Sanità spagnola e creerà la struttura della Sanità pubblica spagnola aprendo ben 600 cliniche dotandole dei mezzi più moderni ed esercitando un controllo minuzioso sulla formazione universitaria dei futuri medici. A questo unisce anche l’incarico di Asesor National del Frente de Juventudes l’organizzazione del regime per i giovani.

L’altra parte quella del diario di prigionia, ha un taglio molto diverso: ci troviamo di fronte ad un dramma più ampio che coinvolge un ufficiale che vede all’improvviso dileguarsi tutto un mondo nel quale era cresciuto (Vittorio era del 1920), dove aveva interagito e di cui condivideva i presupposti in maniera originale e anche critica.

Il tutto smantella le teorie più o meno cretine, sul plagio di massa e sul condizionamento psicologico che il regime fascista avesse esercitato sul popolo, quasi che tutti gli individui fossero stati dei decerebrati ed assolutamente incapaci di critica o di originalità di pensiero.

Questo giovane ha delle basi ben solide su cui fondare le proprie idee: prima di tutto si sente un italiano che ama la sua Patria, che crede fermamente nella missione di crescita dell’Italia, nel suo progredire verso un destino di grande potenza. Ma questo non lo rende fazioso, o peggio assolutamente prono davanti al fatto che l’ideologia del fascismo potesse prevalere sul fatto di essere italiano.

Quando arriva in Germania con un “comodo “ carro bestiame, depositato in un campo di prigionia di smistamento, viene approcciato da un ufficiale che ha deciso di combattere nella Legione Italiana delle Waffen SS. Il collega lo esorta a fare altrettanto, ma la risposta è davvero tranciante: “ Non voglio tornare in Italia e sfilare per le strade con una divisa da mercenario. Prima sono un italiano, poi un italiano fascista!”

Il che naturalmente comporta tutta una serie di disagi che da quel rifiuto netto derivano: come dover sopportare il logorio psicofisico dell’internamento, la malnutrizione, la conseguente inevitabile depressione di chi da tre anni non rimette piede sul suolo italiano ed è recluso forzatamente dentro una baracca circondata da reticolati. La presenza al suo fianco di due amici ufficiali, conosciuti sul fronte greco, attutisce un po’ il senso di surmenage che continua a persistere: ci sono dei momenti molto lirici e profondi quando ai primi di novembre del 43 ripensa a suo fratello maggiore morto in un incidente stradale a soli 25 anni rapito da un destino beffardo e crudele. Oppure quando invoca la nonna affinché sostenga la madre e ne allevi la pena per la mancanza totale di notizie a suo riguardo. Qui il sentimento religioso si manifesta in maniera semplice, ma genuina e profonda. Eh sì perché non si sa bene per quale beffardo gioco del destino non riesce né a comunicare, né a ricevere notizie da casa mentre altri compagni di prigionia riescono a farlo: anche alcuni pacchi inviati attraverso la Croce Rossa spariscono svanendo nel nulla.

Altro momento forte è la narrazione di eventi che alcuni prigionieri ponessero in essere pagandosi, a suon di sterline oro, uscite e festini al di fuori del campo e continuando a far loschi commerci con la controparte tedesca. Già prima i giudizi sui crucchi, teste di ferro e piene d’aria, erano stati più che taglienti quando ad esempio contavano i prigionieri per cinque, oppure impedivano ai medesimi di poter espletare i loro bisogni corporali non aprendo le porte dei vagoni fermi in binari morti delle stazioni della Ruhr, ma sempre sotto le incursioni dei bombardieri alleati e con temperature decisamente molto rigide.

Non mancano dei momenti di sorpresa quando in una stazione polacca i prigionieri incontrano degli indiani che indossavano divise tedesche che si erano arruolati volontari nelle divisioni di Waffen SS cosa a loro del tutto ignota.

Altro momento toccante è il ricordo di una conferenza tenuta da Giovanni Guareschi alla vigilia di Natale del 1943 che iniziava con “ C’era una volta il panettone Motta” episodio che è riportato anche nel libro dello stesso Guareschi in cui narra le traversie della sua prigionia in Polonia in un campo non molto distante da quello in cui era detenuto il nostro protagonista. Immaginate l’effetto che quelle parole potessero avere su degli internati che vivevano in uno stato deprecabile sia materiale che spirituale: onde di ricordi, di nostalgie e di rimpianti.

Molto bello e toccante il rapporto affettuoso con Lydia una ragazza polacca che lavorava all’interno del campo e che gli faceva delle piccole corvé come lavargli della biancheria correndo anche dei rischi: una volta viene accusata di praticare mercato nero con i prigionieri ed i poveri vestiti di Vittorio vengono sequestrati. La ragazza gli dice che quello che fa è come se lo facesse ai suoi cari alcuni di loro internati, o prigionieri, o esuli che combattono per la Polonia a fianco degli Alleati. Altra cosa curiosa: spesso i due ricorrono, per capirsi, al latino che la ragazza aveva imparato in chiesa: ma pensa che aberrazione oggi rischierebbe la scomunica! Ma addirittura spesso per salvare gli ebrei ad essi veniva fatto imparare il Credo in latino: i tedeschi volevano essere sicuri che se questi si erano “convertiti” al cattolicesimo sapessero recitare senza intoppi la preghiera fondamentale cattolica. Ai tempi quando la Chiesa era cattolica ed universale e quando entrando in una chiesa si poteva tranquillamente seguire il sacrificio della Santa Messa capendo quello che il sacerdote diceva, indipendentemente dalla latitudine in cui il fedele si trovasse: verrebbe da dire che oggi la Chiesa sia diventata come la torre di Babele!

Al momento di lasciare il campo di prigionia dopo aver aderito alla RSI, la intravede da lontano, ma non può salutarla la cosa lo rattrista moltissimo: il ricordo di quella affettuosa amicizia gli resterà impresso indelebilmente nella memoria e lo avrebbe narrato anche al figlio come se fosse una favola bella. Passando i cancelli che chiudono i reticolati ha un attacco di quasi nostalgia per il tempo trascorso in quella tragica realtà in fondo è un pezzo di vita che definitivamente finisce: anche questo è molto lirico e cristiano, mancano assolutamente odio o acredine, prevale il perdono!

Qui comincia la catabasi verso l’Italia. Trasferito in un campo di addestramento a Paderbon, in Renania, viene ritenuto inabile a poter essere assegnato al Barbarigo ed inviato sul fronte di Anzio. Pesa 45 chili e sicuramente non ce la fa a reggere un fucile nonostante che viene soccorso con zabaioni e cibi più consoni ad un’alimentazione “umana”.

La chiosa finale del libro è il ritorno a casa del prigioniero e l’incontro con la madre lungo la strada che porta al suo paese un altro piccolo affresco impastato di lacrime, abbracci e rinascita ad una nuova esistenza dopo le dilacerazioni della guerra.

Da corollario a queste due testimonianze il fil rouge continua con due capitoli dedicati uno alla storia gloriosa dell’Alfa Romeo, ormai marchio ridotto ad una pallida realtà legata ad un glorioso passato e ad uno sbiadito e squallido ectoplasma. L’autore fa notare che la sorte della grande casa del Portello è speculare a quella che ha subito anche l’Italia come nazione.

Dal convitto dei popoli assisa”di manzoniana memoria ad una comparsa da schiava legata al carro del vincitore amerikano: “più serva, più vil più derisa che sotto l’orrida verga si sta”.

Del resto non cogliere le analogie è impossibile: la gente, che aveva una dignità ed una coscienza di essere una nazione modello che crede nel suo futuro destino, che lavora con passione, con senso di essere ognuno parte viva e pulsante di un popolo. E che scendeva in piazza con il tricolore per festeggiare la vittoria di Nuvolari, su un’Alfa Romeo, al Nürburgring dove il Mantovano volante ( o come lo definirono i giornali tedeschi ”der Taufel il diavolo)” aveva umiliato e ridicolizzato la sicumera e la tracotanza germanica, talmente sicura della vittoria che non aveva nemmeno preparato la bandiera italiana ed il disco dell’inno nazionale. Nuvolari, previdente e lucido, aveva provveduto a mettere entrambi in valigia! Oggi siamo servi dei tedeschi e degli amerikani; “l’un popolo e l’altro sul collo vi sta” tanto per continuare con le citazioni manzoniane.

L’altro capitolo ripercorre la nascita e lo sviluppo dell’Arma Azzurra che la grigia ed ottusa burocrazia sabauda volle fosse chiamata Regia Aeronautica: che poesia!

Anche qui la nascita e l’ascesa del comparto aeronautico italiano dette sicuramente lustro, prestigio e fama all’Italia: le crociere nel Mediterraneo e quelle transatlantiche furono non solo un mezzo per dare visibilità positiva e notorietà al regime, ma anche infusero nelle coscienze del nostro popolo l’orgoglio di essere italiani, di essere rispettati, ammirati ed apprezzati agli occhi del mondo. La foto degli S 55 che sorvolano l’Acropoli di Atene comparirono sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo: anche grazie a queste imprese il “soldatino” Vittorio Garofoli si sentiva sicuro e cercava di essere degno di essere italiano.

Come controprova di quanto affermato migliaia di persone si assiepavano ai margini delle zone di atterraggio degli aerei italiani sventolando fazzoletti, bandierine ed accompagnando con fragorosi applausi gli ammaraggi degli idrovolanti con le insegne del littorio: questo sia ad Odessa, come a Tolone, a Rio, a Chicago o a New York.

Pensate che nella città russa le autorità comuniste fecero distribuire pane bianco e permettere che la popolazione fraternizzasse con i piloti di Balbo scambiandosi piccoli doni come pezzi di artigianato e sigarette; persino i cinema furono aperti senza limitazioni di orari. Timidi approcci tra mondi distanti e diversi ma vogliosi di confrontarsi.

Pensate che l’URSS acquistò degli idrovolanti italiani oltre che molte centrali di direzione di tiro per i cannoni delle navi preferendoli a quelle celebratissime della Siemens tedesca.

Durante la parata trionfale degli aviatori italiani lungo la Fifth Avenue, a New York, essa richiamò una folla pari se non addirittura maggiore di quella che accolse il ritorno vittorioso dei soldati americani alla fine della prima guerra mondiale. Storia non chiacchiere alla faccia della cancel culture!!

Accanto a questo ci sono dei fenomeni collaterali non meno importanti o vantaggiosi: molti paesi, compresa, come abbiamo già visto, l’Unione Sovietica, acquistarono aerei italiani il che non era di certo irrilevante. Che dire poi dei bellissimi manifesti celebrativi delle imprese aeree italiane? Oppure degli stupendi trittici di francobolli emessi per l’occasione, ancora oggi i più belli ed apprezzati tra tutti quelli emessi dalle poste italiane.

Forse a tutte queste domande una risposta c’è, la creatività ed il genio italiano erano alla base di tutti questi fenomeni positivi: ed oggi che cosa si è cercato di fare da parte di tutti se non umiliare, ridicolizzare questo inestimabile ed immenso patrimonio culturale e morale appartenente al DNA dell’Italia per renderla serva, per creare complessi di inferiorità ed istigare soltanto sentimenti di ammirazione e di emulazione solo nei confronti degli altri o dei vincitori e sentirsi sviliti, umiliati resi depressi e sfocati quindi sottomessi e schiavizzati!

Sic transit gloria mundi!



Il libro Diario di prigionia di un soldato italiano è disponibile ed ordinabile su internet a questi due link.



https://www.cinquantuno.it/shop/altromondo-editore/diario-di-prigionia-di-un-soldato-italiano/

https://www.amazon.it/prigionia-soldato-italiano-Luciano-Garofoli/dp/8833303527/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=26J7HO4QUZG84&keywords=luciano+garofoli&qid=1669284513&qu=eyJxc2MiOiIzLjY5IiwicXNhIjoiMC4wMCIsInFzcCI6IjAuMDAifQ%3D%3D&sprefix=luciano+garofoli%2Caps%2C99&sr=8-1










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