Maltusianesimo
09 febbraio 2022

«Ricostruire l’Italia», con i draghi della distruzione

«Questo è l’orizzonte che abbiamo davanti. Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza».

È una delle frasi salienti del discorso di Mattarella per la sua rielezione, quello interrotto dal record repubblicano di applausi scroscianti.

C’è da dire che parla ad un Paese che la ricostruzione dopo il disastro, in qualche modo, la ricorda ancora. L’Italia subì i bombardamenti a tappeto angloamericani, i disastri militari, il tradimento dei suoi sovrani, il veleno della guerra civile, la fame, la disperazione, la sconfitta. Eppure, ce la fece. Ne uscì un Paese che rapidamente scalò le classifiche del PIL, divenendo una delle nazioni più prospere della Terra.

Dove erano rovine, furono fatte case. Dove erano acquitrini, sorsero industrie. Dove c’era la lacerazione, arrivò l’unità. Dov’era dolore, venne la pace. La ricostruzione post-bellica, in Italia, fu potente e indimenticabile.



Ora, la «ricostruzione» che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione.

Non costruiranno case o industrie. Basta ricordare come, un anno fa, era ripartito il Recovery Fund: alle infrastrutture 27,7 miliardi, alla «digitalizzazione», 48,7 miliardi: il doppio. In breve, non si costruisce niente, fuori da qualche spettro digitale, immateriale e inutile a fini del benessere umano.



L’unità fra le genti della «ricostruzione» non ci sarà mai: perché, programmaticamente, si è scelta la lacerazione, la divisione sociale spinta sino all’apartheid, alla discriminazione biomolecolare, la meccanica del capro espiatorio per schiacciare la minoranza che può diventare – la storia dai Balcani al Ruanda ci dice: d’improvviso – pulizia etnica.

Cosa si può costruire, con un Paese così diviso?

Cosa si può costruire, se si pensa, prima che alla carne e alla materia, ai computer?

Come si può costruire, poi, con chi predica apertamente la distruzione?

Poco sotto il presidente, durante il suo discorso da applausometro, c’era il vero vincitore di questa elezione presidenziale: Mario Draghi. Egli, compreso che i partiti in questo momento non riuscivano a convergere su di lui (l’attuale inutilità della democrazia rappresentativa deve pure essere posta sotto dei limiti di pudore), ha probabilmente solo saltato un giro, cioè mezzo giro. Il testimone gli sarà passato più avanti.

Draghi è uno che la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che la teorizza, la invoca. Almeno, leggendo quanto va pubblicando.

Draghi è membro senior del Group of Thirty, il «Gruppo dei 30», talvolta abbreviato in G30, è un organismo internazionale di finanzieri e accademici che vogliono «approfondire la comprensione delle questioni economiche e finanziarie e ad esaminare le conseguenze delle decisioni prese nel settore pubblico e privato».

È qualcosa di più di una lobby (anche se ha indirizzo a Washington in K Street, la celebre via dei lobbisti), di un think tank, di un club di ricconi laureati. Il G30 raccoglie il livello più alto dei decisori economici del pianeta.

Il consorzio elitista fu creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation, uno dei veicoli di una delle famiglie che in questo ultimo secolo e mezzo ha fatto di più per la diffusione della Cultura della Morte. Non è il solo ente creato dalla famiglia: un altro, per esempio, è la Commissione Trilaterale, ad una riunione plenaria della quale nell’aprile 2016 Mattarella portò il suo saluto presidenziale, elogiando il ruolo di David Rockefeller (il sito del Quirinale lo riporta tuttora senza la prima «e»)

I Rockefeller iniziarono gli incontri dei G30 nel 1963 a Villa Serbelloni a Bellagio, tanto che battezzarono l’operazione Bellagio Group. In quegli anni, va ricordato, i Rockefeller partecipavano attivamente ad un altro consesso di potenti miliardari e potenti internazionali raccolti in Italia, il Club di Roma di Aurelio Peccei, il cui fine era (ed è) la riduzione della popolazione terrestre.

Dal 1978 il Bellagio Group prese il nome di Group of Thirty. Il suo primo presidente fu Johannes Witteveen, l’ex amministratore delegato del Fondo Monetario Internazionale.

Mario Draghi ne è parte. È segnato come membro senior. Nel gennaio 2018, l’Ombudsman («Mediatore europeo») Emily O’Reilly chiese che Draghi, allora presidente della BCE, si dimettesse dal gruppo perché la sua appartenenza all’organizzazione poteva essere interpretata come un’influenza indebita.

Il gruppo dei 30 è ancora pienamente attivo. Nel 2011 fece uscire uno studio sulle cause della crisi finanziaria globale del 2008. Nel dicembre 2020 stampò un altro saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID. Il testo, Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID, segna il nome di Mario Draghi come co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del volume Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

È in questo scritto che compare la formula della «distruzione creativa». Si tratta di un famoso concetto elaborato nel secolo scorso dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950). Egli nel 1919, cioè a pochi mesi dalla disfatta dell’Impero asburgico, fu nominato ministro delle finanze della Prima Repubblica d’Austria. Durò poco, passò a dirigere una banca, e poi tornò all’insegnamento, per poi emigrare oltreoceano nel 1932 ed approdare alla prestigiosa università di Harvard, dove insegnò fino alla morte.

Nel celebre trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), Schumpeter scrive che la distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) è il «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».

La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Colpisce che questo inno alla distruzione fu scritto – negli USA – quando la distruzione era più che un concetto, era la realtà dell’Europa devastata dalla guerra. In quel momento la distruzione non era un’astrazione. La distruzione non creava: uccideva milioni di uomini. Eppure, Schumpeter, trovava consono scrivere e pubblicare l’idea della distruzione come via all’innovazione.

Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è citato appena una volta. Ma tutto il testo è imperniato sul suo concetto di distruzione creatrice.

In sintesi, nel testo dell’ensemble di Draghi si dice che nella prima fase della crisi pandemica il problema era la liquidità, la prossima crisi sarà quella delle insolvenze. I governi non potranno salvare tutte le attività e quindi devono scegliere chi deve vivere e chi deve morire. Una sorta di dilemma del triage – i dottori che, anche in tempi COVID, decidono chi vive e chi muore – dove però si è sicuri che si deve lasciare che si compia la strage.

«Il settore delle imprese che emerge da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come quello precedente a causa degli effetti permanenti della crisi e dell’accelerazione delle tendenze esistenti come la digitalizzazione da parte della pandemia» scrive il testo.



«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creativa per tenere conto degli effetti a catena di cambiamenti eccessivamente rapidi, come i regimi di insolvenza che potrebbero essere sopraffatti».

In un paragrafo intitolato «Apocalisse Zombie» è scritto si parla di «zombie-firms», aziende-zombie create dalla crisi finanziaria, viene posta, per bocca di un banchiere singaporese, la domanda finale: «Continuerete (…) ad usare le finanze pubbliche per sostenere le aziende o lascerete che la distruzione creativa accada à la Schumpeter?».

In pratica, stanno dicendo: volenti o nolenti, ricostruiremo l’intero sistema economico come vogliamo noi: o meglio, lo resetteremo. Gli Stati daranno una mano, ammortizzeranno il cambiamento, conterranno gli effetti spiacevoli della disoccupazione, con milioni di lavoratori che andranno «riqualificati». Le aziende che boccheggeranno stremate dai lockdown imposti, saranno definite «zombie», e come tali trattate: morti viventi, creature inutili e non più umane, buone, appunto, per dei massacri che garantiscono l’assenza del senso di colpa, come nei film e serie TV sui morti viventi.

Assomiglia un po’ ai discorsi sul Grande Reset, sì – del resto, Draghi e Schwab alle volte si incontrano, come pochi mesi fa.

Assomiglia a un grande piano che, più che ricostruire, al momento sembra interessato a distruggere. O meglio: può ricostruire solo se distrugge, e distrugge perché vuole ricostruire secondo un suo preciso disegno.

Solve et coagula. Il principio della trasformazione secondo l’alchimia, un’idea poi passata a certe importanti società segrete ancora ben rappresentate in Italia.

Siamo anni luce dalle gioie e dai sudori della ricostruzione postbellica. Siamo infinitamente lontani dall’Italia che costruisce le autostrade, dalle famiglie che risparmiano e comprano l’auto, da Enrico Mattei, dall’Inter del Mago Herrera.

È chiaro quale sia il motivo profondo, metafisico, metapolitico, metastorico, di tutto questo. È la grande inversione realizzata: la Civiltà, da latrice dell’Essere, è divenuta barbarie del Niente.

Laddove il mondo viveva secondo un concetto di espansione – cosa vero perfino nel mondo marxista-leninista – ora vi è stata innestata una contrazione.

Siamo troppi, dobbiamo ridurre il numero degli esseri umani sulla terra – magari non figliando, o uccidendo subito la prossima generazione di esseri umani. Inquiniamo troppo, dobbiamo ridurre i consumi, o ridurre perfino la quantità di luce solare – partendo sempre dall’idea di diminuire subito la popolazione.

Questi concetti dei «limiti dello sviluppo» furono di fatto escogitati da Peccei e dal suo Club di Roma emanato dai Rockefeller (famiglia dove l’antinatalismo è trasmesso geneticamente). Peccei commissionò al politecnico bostoniano MIT uno studio che dimostrasse che l’espansione della Civiltà, nell’industria e nella popolazione, era finita: gli scienziati obbedirono, e consegnarono uno studio che prevedeva l’imminente esaurirsi delle risorse, e il collasso del pianeta, tra guerre e carestie, a causa della sovrappopolazione.

Erano tutte previsioni false, ovviamente: tuttavia, da queste menzogne scaturì l’ecologia moderna, che, come il Gruppo dei 30, ha in mente costantemente la distruzione dell’opera dell’uomo, parassita del pianeta.

Tale processo di contrazione dell’universo umano possiamo chiamarlo Necrocultura, o Cultura della Morte. Essa è la forza di gravità del mondo nuovo: ogni cosa tende naturalmente verso l’uccisione o la degradazione dell’essere umano.

Vuoi far l’amore? Solo con la contraccezione. Sei incinta? Puoi abortire. Sei malato? Puoi chiedere di suicidarti con l’eutanasia. Hai fatto un incidente di macchina? Ti espianteranno gli organi quando il tuo cuore ancora batte.



La Necrocultura è più che un concetto, una lettura del reale: essa è il fondamento di intere istituzioni, politiche e – ce ne rendiamo conto soprattutto ora – sanitarie. Essa è la base ideologica, latente o patente, di interi partiti, di interi Paesi.

La Necrocultura è distruzione creatrice – anche se non crea nulla e uccide tanto, lo scopo del resto è quello. È la guerra senza pietà all’Imago Dei.

Pensate al legame, sempre più sincrono nel mondo moderno, tra distruzione e riproduzione. Se vuoi avere in braccio un bambino fatto in provetta, devi uccidere almeno qualche decina di embrioni. Distruzione creativa, distruzione procreativa: devi ammazzare per far nascere un bambino. Devi fare, per quanto invisibili nei loro vetrini in laboratorio, veri sacrifici umani per portarti a casa il bebè che corona il tuo sogno di famigliuola borghese arredata a dovere.

Il lettore può capire ora anche il legame che esiste tra la distruzione creatrice del bambino in provetta e la pandemia COVID. I cinesi, grazie alla bioingegneria CRISPR, hanno già creato (almeno) due gemelle immuni all’HIV. Quanto ci vorrà perché proporranno bambini geneticamente programmati per l’immunità al SARS-nCoV-2? Quanto ci vorrà prima che il bambino bioingegnerizzato anti-COVID (o anti-Ebola, Marburg, etc.) divenga obbligatorio? Perché, ricordatelo, «sarà come vaccinarli»…

Quindi, quale ecatombe di embrioni sacrificheremo alla distruzione procreatrice?

Milioni.

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

E questo massacro non servirà a «costruire l’Italia», ma a maledire la Civiltà.

Accettiamo la morte di oceani di embrioni. Accettiamo la morte di migliaia di aziende. Accettiamo la morte di ogni nostro diritto, perfino di quello di respirare. Accettiamo il nostro stesso massacro.

Come è possibile che, quindi, crediamo ad una qualche «ricostruzione»?

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

Roberto Dal Bosco


>>>articolo originale online>>>







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