Filosofia - Teologia della libertà
30 luglio 2021

“È perché sono libero che posso cercare la verità, è perché sono libero che posso rifiutare la verità”1.
La ribellione della volontà

Parte 8

La ribellione della volontà

“È perché sono libero che posso cercare la verità, è perché sono libero che posso rifiutare la verità”1.

Nella sua analisi dei misteri dell’esistenza Fabro non teme di recuperare quei termini, che il “cristiano adulto”, postconciliare, secolarizzato, pensava di aver relegato nei ricordi lontani della fede semplice delle nostre nonne, non ancora passata attraverso la salutare purificazione riformatrice che, a partire dall’annacquamento dei Riti della Settimana Santa del 1955, ha travolto ogni aspetto del credere, fino a decretare quella che sembra essere diventata a tutti gli effetti una “religione nuova”, del tutto diversa da quella praticata per quasi due millenni dalla Santa Chiesa Cattolica. Tra questi termini, ormai ampiamente considerati fuori moda e desueti, Fabro evidenzia invece l’essenzialità di realtà scomode per la mentalità del mondo, quali il peccato, il pentimento e la penitenza. “Penitenza esige pentimento e pentimento richiama peccato. Ma pentimento richiama amore e ricordo: richiama il ricordo del bene amato e perduto col peccato, il cui amore riaffiora nel rimorso e nel dolorante desiderio di riavere il bene perduto, di ritornare in comunione con la persona amata2. La penitenza che nasce dal pentimento è la prova del mutamento della coscienza traviata e pentita. Il pentimento è la riprovazione dell’errore e del traviamento che l’io stesso fa dell’inalberarsi del suo egoismo contro Dio, come dice S. Caterina. La penitenza è il prezzo di espiazione del proprio errore e della soddisfazione dell’egoismo, smarrito nel suo orgoglio e nei beni umbratili del mondo che passa.

Nella concezione cristiana del peccato, la sua essenza è di essere un atto di “disobbedienza” dell’uomo alla legge di Dio e quindi di “ribellione” della volontà creata alla volontà di Dio: è questa difformità ontologica della volontà dell’uomo dalla volontà di Dio che conferisce all’atto umano la sua deformità morale. Il peccato non si risolve perciò in una privazione semplice, come l’esser ciechi o l’andare zoppi, ma è una “privazione attiva” perché il peccato comporta un atto da parte dell’uomo, suppone una decisione libera e responsabile e presuppone quindi un’alternativa di bene e di male che impegna l’uomo in-e-per-il-male.

La penitenza come fiore dell’amore, che scaturisce dal pentimento cristiano, può sorgere e fiorire soltanto mediante il risveglio della fede teologica autentica che vede nell’Incarnazione e nella morte dolorosa di Cristo il prezzo del peccato e della colpa della libertà dell’uomo.

E’ dall’orrore del peccato, che ha crocifisso un Dio, che deve scaturire nell’anima il dolore purificante della penitenza: dall’orrore del mio peccato, della mia ribellione all’Amore essenziale.

Il perdono misericordioso dei peccati non può, nella concezione cristiana, non incontrarsi con la detestazione del peccato e con il prezzo di espiazione della penitenza come trasfigurazione interiore della libertà.

La prima penitenza, la penitenza di cui ha più bisogno l’uomo moderno, la penitenza essenziale che deve scuotere la coscienza dissipata dai vari miraggi della civiltà della tecnica è la coscienza del peccato che si scioglie nella muta e fervente implorazione del perdono del Salvatore misericordioso. E’ la penitenza come “metanoia” o conversione del cuore, è la conversione come “contemporaneità”con la Morte di Cristo che ha dato soddisfazione dei nostri peccati. Una penitenza quindi che può diventare fonte perenne di conforto e di consolazione.

La consolazione che l’uomo moderno, traviato da una cultura che si è alienata nella tecnica e dalla corsa frenetica alla conquista dei falsi miraggi di Babilonia, potrà trovare soltanto elevandosi al vertice di supremo silenzio dello spirito in cui il tempo s’incontra con l’eternità e l’anima, dolorante del suo peccato, s’incammina fiduciosa incontro a Cristo suo Salvatore”3.

Lo aveva già intuito sant’Agostino che con la sua consueta chiarezza, ci ricorda che “la scelta della volontà è veramente libera quando non è asservita a vizi e peccati. Quale era stata data da Dio. Perduta per propria colpa questa libertà, non può essere ristabilita se non da Colui che poté darla” (La Città di Dio, XIV, 11).

Ecco perché “l’accettazione della realtà del peccato è la porta d’ingresso nel Regno di Dio”. Ed è qui che entra in gioco la “vera libertà”, “quella che si trascende in Dio nell’implorazione del suo aiuto e della sua grazia: è il ‘frutto’ della conversione del cuore. ‘Libertà’ è nel suo concetto primario la capacità che ha l’uomo di disporre di sé e di darsi quella fisionomia morale che egli prospetta col progetto della propria vita che è la scelta della vocazione. Per il cristiano verità e libertà vanno insieme e si appartengono come il concavo e il convesso e si specchiano l’una nell’altra. Perciò Cristo ha proclamato che “la verità vi farà liberi’e che saremo veramente liberi soltanto se il Figlio ci avrà liberati’ (Gv. 8, 32 e 36). E per questo l’Apostolo chiama la vocazione del cristiano un appello di libertà: ‘Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà...’ (Gal. 5,13) – un appello di fierezza e di consolazione, ma anche di responsabilità nelle incertezze di oscure e segrete ambasce che attendono ogni cristiano alla prova. [...] La libertà non è affatto un mistero, essa è la realtà più ovvia e lampante poiché la libertà si dà nella presenza essenziale che ha l’io a se stesso: questo è il punto di partenza, una possibilità sempre aperta di riscatto e di salvezza. Ma la libertà si deve attuare e conservare nella tensione infinita dell’indipendenza originaria e ciò è possibile – questo ci insegna la realtà del male e del peccato – soltanto in unione con Dio, col ‘complementum spiritus’ datoci da Dio, con l’effusione misteriosa e dolce della sua grazia.

Il peccato è un mistero, mysterium iniquitatis; anche la grazia è un mistero, mysterium amoris; ma non è un mistero la nostra volontà che pecca, ce l’attestano i Santi: “Ciò che mi affliggeva, scrive Gemma Galgani nell’Autobiografia, era il non poter amare Gesù come avrei voluto; mi davo premura di non offenderlo, ma la mia cattiva inclinazione al male era sì forte che senza una grazia speciale di Dio sarei caduta nell’inferno”4. Ecco perché il ‘senso del peccato’ rinsalda nel cristiano i contrafforti della luce, ne attinge lume e conforto nell’arduo cammino dell’esistenza fra le insidie grossolane e sottili dei dubbi e delle passioni”5.


Di Andrea Colombo



1 Libro dell’esistenza..., cit., Af. 651, p. 118

2 Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i Vostri castighi, e molto più perché ho offeso Voi, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo col Vostro santo aiuto di non offenderVi mai più e di fuggire le occasioni prossime del peccato. Signore, misericordia, perdonatemi (Atto di dolore)

3 La vitalità della penitenza nel mondo contemporaneo, EM 1, 1969

4 Sulla figura splendida di questa Santa, mistica e vergine toscana, vissuta a cavallo fra ‘800 e ‘900, si veda l’approfondito studio Gemma Galgani testimone del soprannaturale, CIPI 1987

5 Evangelizzazione: peccato e conversione, EM 1977








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