Filosofia
10 maggio 2021

Pavel Florenskij, un martire, esempio per tutti noi e soprattutto per quei chierici della neo chiesa che hanno abbandonato la retta via e si sono votati al mondo

Pizzetto incolto, capelli lunghi, occhialini tondi da scrittore, la veste talare bianca un po’ lisa con un pugnale alla cintura. Pavel Florenskij entra in un’aula stracolma di studenti, e dopo aver posato il suo quaderno di appunti sulla scrivania, esclama: “Cristo è risorto! Amore, amore, amore e ancora amore…”. Iniziano così le lezioni sulla “Filosofia del culto”, tenute da questa multiforme figura di sacerdote ortodosso, un religioso che è allo stesso tempo padre di famiglia, matematico, filosofo, storico dell’arte e scienziato.

Era il maggio del 1918. L’anno prima aveva trionfato la rivoluzione bolscevica, che aveva spazzato via la monarchia e promesso di liberare i russi dalla religione “oppio dei popoli”. Padre Pavel non era né un reazionario né un nostalgico zarista, tuttavia era fermamente contrario al materialismo marxista. E così, dalle aule dell’Accademia della società dei professori di Mosca, lanciava la sua originale sfida allo Stato comunista. Una sfida che gli costerà cara e culminerà con il martirio, in una fredda notte dell’8 dicembre 1937, quando venne fucilato insieme ad altri 500 “controrivoluzionari” nei boschi che circondavano Leningrado.

Le edizioni San Paolo hanno mandato alle stampe queste lezioni di “Filosofia del culto” (a cura di Natalino Valentini) in cui emerge la visione del mondo di un pensatore dai mille volti, capace di passare dalla teologia delle icone alla filosofia platonica, dall’ingegneria elettrotecnica alla geometria non euclidea. Per Pavel Florenskij il culto non è un residuo del passato, un lascito di superstizioni superate, ma è la fonte della nostra esistenza. È la radice delle nostre attività, tanto che i sette sacramenti, dal battesimo all’unzione degli infermi passando per il matrimonio, marcano tutte le principali tappe dell’uomo. Lo stesso termine di cultura deriva dal culto. Negare questa evidenza, spiega, è come rinnegare l’essenza più profonda dell’umanità. D’altronde il tempo è marcato dai rintocchi delle ore dei campanili e dal calendario liturgico. E, similmente, lo spazio richiede un’attività di orientamento intellettuale, che ha un unico punto di riferimento: “la Persona Assoluta Divino-umana incarnata”.

Il pensiero mistico di Florenskij è di una radicalità che affascina. Tanto che le sue riflessioni sulle geometrie perfette dell’iconografia ortodossa s’incontrano con le sperimentazioni di artisti come Malevich, che in quegli stessi anni respingono la tradizione occidentale della figurazione e ritornano al primitivismo astratto dell’estetica bizantina, culla della civiltà russa. Scrive Florenskij: “Tutto è Croce, tutto è fatto a forma di Croce. La Croce sta a fondamento di tutto l’essere” e sembra che commenti un quadro suprematista. Fedele alla tradizione della sua terra, questo sacerdote scienziato si scaglia contro la “sacrilega indipendenza” della “civiltà umanistica europea occidentale: putrefazione, disgregazione e quasi morte della cultura dell’uomo”. Per Florenskij la modernità, nata nel Rinascimento, è “estranea alla religione”. E i russi devono marcare la loro differenza rispetto al pensiero occidentale.

Particolarmente toccanti le pagine dedicate al cristianesimo come testimonianza e martirio, che anticipano quella che sarà la sua tragica fine. Quasi un oscuro presagio. Il martirio, scrive Florenskij, è “il sangue che parla della verità”. E nella morte per la fede, il testimone diventa “un combattente e, nello spirito, un vincitore”. Nel 1937, dopo innumerevoli arresti e vessazioni, già privato da tempo dell’insegnamento, Florenskij viene accusato di “svolgere attività controrivoluzionaria inneggiando al nemico del popolo Trockij”. Gli stalinisti non potevano formulare accusa più assurda. Alla vigilia della sua uccisione, rinchiuso nel gulag, nel giugno di quell’anno scrive ai figli: “Tutto ormai è finito (tutto e tutti)”. Pochi mesi dopo il suo volto, trasfigurato dalle violenze, si troverà “faccia a faccia con l’Eternità amata, solitaria, misteriosa”.


Andrea Colombo








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