Filosofia
04 maggio 2021

Ci stiamo giocando la civiltà

(Marcello Veneziani) – Ma cos’è in gioco nella legge sull’omotransfobia, nelle porte aperte ai migranti, nella difesa dei confini, nel principio di sovranità, nel politically correct, nella cancel culture, nei rapporti con gli islamici, i neri e i cinesi? È in gioco la civiltà. O se preferite, è la partita tra diritti umani e civiltà.

C’erano una volta la destra e la sinistra, i conservatori e i progressisti, i nazionalisti e gli internazionalisti. O se volete, i fascisti e gli antifascisti, i comunisti e gli anticomunisti. Ora, nell’era globale della pandemia e del governo di unità nazionale guidato da un tecnico super partes, come si dividono le opinioni politiche e le convinzioni civili? Le suddette categorie benchè ancora usate, sono logorate dal tempo e dall’abuso; perdono forza nelle molteplici varianti, nei mutati contesti e negli usi polemici e residuali con cui vengono adoperate. Non sono più in grado di rappresentare la realtà e le divergenze attuali. E allora su cosa realmente si dividono oggi gli italiani, gli europei, gli occidentali, quali sono i temi sensibili più rilevanti?

In primo luogo i temi della biopolitica, ovvero gli ambiti che riguardano la vita e la morte, la nascita e i sessi, la denatalità, le adozioni e le maternità surrogate, le unioni omosessuali e le famiglie, il diritto alla vita o all’aborto, i cambi d’identità e il transumanesimo, l’animalismo, i costumi, la droga. In secondo luogo investono direttamente le categorie “protette” perché ritenute non tutelate adeguatamente dalle leggi e dai costumi vigenti: vale a dire le donne, i migranti, i neri, gli omosessuali, i trans, i rom, le minoranze religiose. In terzo luogo riguardano la memoria storica collettiva, le identità, le eredità religiose dei popoli, le tradizioni, le usanze e il loro rifiuto, i classici e la loro cancellazione, le arti e la censura, la toponomastica, i monumenti, le feste e le giornale mondiali, il passato e la sua negazione. Sono questi i temi che più dividono sul piano politico, civile o ideale, oltre quelli contingenti, sanitari o economici. La posta in gioco è la civiltà, minacciata dall’interno e dall’esterno.  Tutti i temi classificati come “divisivi” per il governo in carica (la legge Zan, la questione migranti, lo ius soli) risalgono a quel dualismo.

Le vecchie etichette prima citate non bastano più né si può liquidare in modo manicheo e denigratorio chi si oppone ai precetti del neoconformismo, come se la sfida fosse tra diritti umani e razzismo (più varie fobie). Invece da una parte c’è il sentire comune dei popoli, formatosi nel tempo e nelle generazioni; dall’altra c’è il nuovo canone di correttezza imposto dalle classi dominanti. Ovvero antichi pregiudizi di popolo contro nuovi pregiudizi ideologici.

Classifichiamo le due linee contrapposte in modo rispettoso per entrambe: da una parte prevale la preoccupazione per i diritti umani, dall’altra prevale la difesa della civiltà in pericolo. Ovvero da una parte sono in gioco i cardini della civiltà – la famiglia, il senso religioso, i legami comunitari, la tradizione, i simboli, l’amor patrio; per la parte opposta invece è in gioco l’acquisizione di nuovi diritti civili, globali, di genere, di minoranza. Incluso il diritto di cambiare connotati, sesso e cittadinanza.

I conflitti più aspri vertono infatti su razzismo, sessismo, colonialismo, suprematismo, islamofobia, xenofobia, omofobia, negazionismo, ma sono variazioni sullo stesso tema: la civiltà o i diritti umani globali.

Difendere la civiltà vuol dire tutelare le identità, le sovranità nazionali, la cristianità, le culture tradizionali. Promuovere i diritti umani significa invece sostenere l’emancipazione globale degli individui e dei popoli dalle loro culture, storia e tradizioni, ma anche dalla loro natura e differenze.

Chi difende la civiltà ama la comunità a partire dai più vicini. Chi difende i diritti umani ama il global a partire dai più lontani. Chi difende la civiltà riconosce i diritti in relazione ai doveri e a partire dai diritti naturali; rispetta il passato, il presente e il futuro e reputa intramontabili alcuni fondamenti. Chi difende i diritti umani si pone nella prospettiva del presente globale e sostiene le mutazioni. Chi difende la civiltà vuol tutelare le differenze dall’omologazione globale e dal riduzionismo radicale. Chi difende la società globale vuole azzerare le differenze e tutelare in modo speciale alcune diversità.

Difendere la civiltà non significa voler tornare indietro ed esaltare la guerra, la supremazia maschile, lo schiavismo, l’odio di classe o razziale. Vuol dire assumersi l’eredità della civiltà, delle tradizioni, dei simboli, senza riproporle meccanicamente nelle forme arcaiche; vuol dire non giudicare il passato con le lenti del presente, non processare o cancellare la storia perché differisce dalle odierne sensibilità, ma riconoscere la storia così com’è e poi distinguere quel che è vivo e quel che è morto, quel che è sempre valido e quel che invece è trapassato, con realismo; senza confondere il piano storico con quello giudiziario e il piano giudiziario con quello morale e ideologico.

La battaglia politica e sui social verte su queste contrapposizioni. Si sta alimentando un gigantesco senso di colpa della civiltà euro-occidentale per l’uomo bianco, etero, cristiano, figlio e genitore. Tutto viene ripassato nella padella del nuovo conformismo: dalla storia ai sessi, dalla cultura ai fumetti. È curioso notare che molti convinti europeisti sono in realtà affetti da eurofobia: odiano la propria civiltà e la processano in ogni campo.

Panorama, n.19 (2021)








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