Teologia
della Libertà
Parte
7
La mediazione essenziale della
Chiesa, che si realizza soprattutto attraverso i Sacramenti e il
Magistero, non toglie nulla al rapporto personale che deve
instaurarsi tra il fedele e Dio, ma anzi lo garantisce e in qualche
modo, attraverso la Sacra Liturgia, lo amplifica. Lo aveva
intuito persino il luterano Kierkegaard quando nel Diario
scrive dell’”ineffabile bisogno di preghiere che i poveri morti
cercano dai viventi (il dogma della Chiesa sulla Messa per i
defunti”). In fondo la comunione dei santi è proprio questo e la
Chiesa ne anticipa in qualche modo la realizzazione qui sulla terra.
La formula del cardinale Newman del rapporto religioso, “io stesso
e il mio creatore” (Myself and my Creator), rimane certo
quanto mai valida e attuale. È “il Singolo davanti a Dio”,
solus cum solo, che indica che “la verità è la
soggettività”, senza per questo dover ricadere nelle spire del
vuoto soggettivismo moderno. Ma è attraverso la Chiesa militante,
che pone l’esigenza della contemporaneità con Cristo, che tale
relazione trova già un suo primo compimento qui in questa terra,
contro il mondo e proiettata nell’al di là. Per Kierkegaard
l’illusione di una Chiesa trionfante in questo mondo,
attraverso i compromessi propri di una “Chiesa di Stato”,
aggiornata, ben accetta dalle autorità, integrata nei meccanismi del
potere, è “un’illusione”. Solo “una chiesa trionfante
nell’eternità è del tutto al suo posto”, in quanto “corrisponde
all’ingresso di Cristo nella gloria”.
Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa si
fonda sul Verbo fatto Carne, un fatto storico avvenuto duemila anni
fa. L’incarnazione, grazie alla quale Dio “si mescola al
tempo in forma personale”, “ha il suo punto di partenza
in una deviazione o caduta iniziale della libertà dell’uomo
(il peccato originale) che Dio, per un
particolare disegno di misericordia, si è proposto di redimere”.
Ma non è da tutti accogliere il messaggio della Croce che salva
tramite la Sua Chiesa, “scandalo a’ Giudei, stoltezza per i
Gentili” (1 Cor. 1,23). Di fronte all’annuncio di questa
Verità ai filosofi dell’Aeropago, Paolo si trovò deriso: “il
dogma della resurrezione dei morti non quadrava con la metafisica
materialistica del loro stoicismo”. E quei “sofi”, nella loro
libertà, rifiutarono il Verbo di Dio incarnato, così come fecero
gli esponenti dell’ufficialità ebraica e gli eresiarchi
dell’antichità. Fino ai tempi moderni in cui l’ateismo, non più
limitato “a posizioni di setta fra filosofi e società segrete”,
“investe le masse che il principio democratico ha portato in primo
piano”. “L’ateismo costruttivo”, che domina
“’l’attuale figura del mondo”, nota Fabro, porta a un “senso
di insicurezza crescente”, a uno “smarrimento dell’io
nella perdita della sua libertà”.
In realtà “l’ateismo ha una lunga
storia, pari a quella dell’umanità poiché il volgersi a Dio è un
atto di amore mediante scelta libera per il Sommo Bene: è vero che
la realtà di Dio che è la pienezza dell’essere l’immenso,
l’immutabile, l’ottimo, il massimo...è la più certa di tutte le
certezze..., ma l’uomo si trova nel tempo e cammina nel tempo ed
abita in un mondo che lo fascia e lo distrae, l’assilla da ogni
parte dalla nascita alla morte. Così se Dio può essere indicato il
punto di partenza, è anche ed altrettanto, anzi più ancora, un
punto di arrivo: è il punto ossia l’assetto della scelta radicale.
L’ateismo è un atto di scelta esistenziale: secondo la
Bibbia solo ‘lo stolto (insipiens) afferma che Dio non
esiste’ (Ps. 13,2; 53,1). Eppure l’ateismo non conosce
confini né di tempo né di spazio, è apparso fin dagli albori
dell’umanità ed è stata quasi sempre una minoranza a vivere al
suo cospetto in fede e amore nello stesso Popolo eletto, guidato con
particolare provvidenza da Mosé e dai Profeti per incontrare Cristo
con l’esito orrendo di mandarlo alla morte di Croce, appellandosi a
Dio contro il Figlio di Dio”.
Ma sarà l’ateismo della
contemporaneità, e il principio di immanenza (dal cogito
cartesiano in poi), che porterà all’attuale annullamento di ogni
libertà: “Mai come oggi, nella marea inarrestabile della
scienza e della tecnica, l’uomo deve ergersi a difesa della propria
libertà nella dimensione della propria salvezza ch’è il
riconoscimento del soccorso sicuro che Dio gli ha offerto nella
rivelazione storica e nella salvezza operata da Gesù Cristo”.
Infatti “Oggi si tratta di chiarire fino in fondo l’equivoco in
cui si è consumato il principio d’immanenza nel pensiero moderno,
che alla fine esso stesso si è dissolto come la negazione di
quell’interiorità ossia libertà e perciò dell’immanenza stessa
che si voleva rivendicare per professare la totale esteriorità del
rapporto di coscienza, lo storicismo ed empirismo assoluto, e quindi
la stessa scomparsa dell’io nella sua originalità. Ben
diversamente nella prospettiva della rivelazione storica
trascendente”. Essa si realizza “come libera offerta di Dio
all’uomo libero: è questo il nucleo autentico di quella ch’è
stata detta la ‘filosofia cristiana’”. “La rivelazione, il
fatto storico di un intervento di Dio nelle cose umane, dilata la
possibilità della ragione, le mostra una sfera di superiore
salvezza, la strappa alla minaccia incombente di arrendersi a
discrezione della macchina, alla pretesa di rinunciare all’incanto
dell’arte e della bellezza, al conforto dell’amore. Ciò
significa che dopo la rivelazione l’uomo ha un senso ed una
dimensione più autentica e profonda proprio di quelle libertà che i
negatori della fede sospettano minacciate”.
ANDREA COLOMBO