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Solo Dio garantisce la vera libertà


24 maggio 2021
Solo Dio garantisce la vera libertà

di Adrea Colombo

Teologia della Libertà

Parte 3

Solo Dio garantisce la vera libertà: “Nella ‘scelta’ dell’Ottimo come telos [finalità] del proprio essere” sta “l’existentia autentica, perché è il ‘porsi fuori’ della passione di ogni finito, è il consolidamento come riflessione perfetta e approfondimento totale della libertà”. “Lungi dall’essere una limitazione, il legame della trascendenza è l’unico principio che libera l’esistenza a libertà, e più il legame diventa assoluto e trascendente e più la libertà cresce e diventa assolutamente libera. A meno che l’uomo non preferisca rinunziare all’iniziativa della sua libertà per scegliere la possibilità ovvero lasciarsi in balia dell’infinità cattiva e del gioco inevitabile della finitezza”1. Il fondamento di tale scelta per l’eternità, di contro a chi vuole chiudersi nel circolo vizioso del finito, va ricercato nella “Esse subsistens ch’è Dio”, il “Bonum subsistens che è l’amore essenziale della divina perfezione e bellezza”: “Esse non chiuso nell’ente e limitato dall’essenza e tanto meno disperso nello spazio e nel tempo, ma emergente in se stesso nella pienezza dell’atto supremo che tutti i popoli hanno chiamato Dio”. Ecco allora che “l’ascesa a Dio2 può essere detta un ‘salto’, ossia il superamento della sfera connaturale della realtà da conoscere ed amare.... E può allora essere detta, questa ricerca di Dio con l’intelletto, una ricerca d’amore ed una decisione di libertà non qualsiasi ma proprio come la volontà ultima di fondarsi nell’ultimo Fondamento ch’è lo Esse ipsum (e di non arrestarsi all’ens), ch’è pertanto il Vero e il Bene essenziale, e non soltanto l’apparire delle cose umbratili del mondo nel rincorrersi all’infinito delle scoperte della scienza, nell’aggrovigliarsi esasperante delle avventure e disavventure della storia. L’ascesa a Dio è e può dirsi atto di libertà in quanto suppone da parte dell’uomo il proposito d’interessarsi al problema di Dio ch’è è l’impegno per la liberazione dalla finitezza dell’esperienza e dell’essere in situazione. L’ascesa e l’affermazione di Dio è atto e affermazione di libertà in quanto è soltanto col riferimento allo Esse ipsum, ch’è il Bene e l’Amore essenziale, che l’uomo si può sciogliere dalle pastoie e bagatelle dell’esistenza e scrollare di dosso tutti i rispetti umani per puntare direttamente sull’Assoluto3.

Si può quindi ben dire che “l’oblio dell’essere” denunciato da Heidegger è prima di tutto oblio di Dio. Infatti “senza l’essere, ossia fino a quando l’uomo non ha trovato il suolo dell’essere e non si è consolidato in esso, egli è preda del caos della molteplicità della manipolazione della scienza4. Una realtà che oggi è sotto gli occhi di tutti in tutti i suoi effetti devastanti. Dimentico di Dio che è l’Essere perfettissimo, “ipsum esse per se substinses” (S. Th. I, q. 44, a. 1; “Io sono Colui che è”, Es. 3,14)), l’uomo cade volontariamente in balia della più pazzesca tirannide, senza neanche rendersi conto di aver perso la sua dignità di creatura nata ad immagine di Dio. Infatti “alla trascendenza di Dio, come emergenza dell’Esse ipsum, è stata sostituita la trascendenza del Dasein [esserci] come proiettarsi del Wille [volontà] dell’uomo nel mondo; alla negatività distintiva dell’emergenza inesauribile e inaccessibile della perfezione divina [il “Dio ignoto” (At. 17,23) della teologia negativa classica dello Pseudo Dionigi] è seguita la negatività dell’io il quale ha fatto del Nulla il fondamento della finitezza dell’essere secondo l’analisi di Heidegger e Sartre”. Ma allora “se il nulla è costitutivo della intenzionalità della coscienza e perciò della libertà, ogni attività di questa si esaurisce nel passare da finito a finito, come da nulla a nulla nel dileguarsi continuo della temporalità. E se si può capire che questo passare da finito a finito ‘insiste’ sul nulla e comporta perciò di volta in volta una ‘scelta’ e un ‘salto’ – perché il particolare finito è ridotto dal nulla a nulla e giace perciò nell’indifferenza – non si può assolutamente capire su questo fondamento il ‘salto’ della libertà ch’è la scelta dell’Assoluto”5.

In tal senso si può ben affermare che è solo nella “presenza dell’Essere” che si compie “il dono della felicità”: “Il fondo della felicità è l’Essere stesso ch’è il fondamento della libertà e nell’inseguimento che la libertà fa della felicità l’uomo deve uscire da sé proprio per essere se stesso, deve perdersi per salvarsi, e deve morire per vivere. Morire nella Vita assoluta è liberare l’Io nella Verità della sua ultima appartenenza e trasferire la vita sulla soglia della decisione della fede. [...] Se manca l’Assoluto manca il fondamento e l’etica si dissolve come puro accadere e come mero sperimentare e più concretamente come ‘lotta di classe’ e ‘lotta per l’esistenza’ che si attua come lotta per il dominio del mondo ch’è poi la disintegrazione stessa dell’umanità come valore”. Ecco perché “la libertà non solo deve ‘entrare’ nel giro intenzionale della ricerca di Dio, ma la libertà costituisce nella sfera esistenziale il fondamento stesso di questa ricerca: ossia l’uomo avverte l’urgenza e perciò la necessità di ‘porre’ il problema di Dio in funzione del suo proprio orientarsi sul senso e sul fondamento del bene e del male, della felicità e del dolore, della giustizia e dell’ingiustizia e quindi infine anche del senso della fine ch’è la morte”. Ne deriva che “alla dimostrazione dell’esistenza del Sommo Bene non può essere estranea ma è decisiva quella libertà che costituisce l’originalità dell’essere dell’uomo come soggetto di moralità e quindi il fattore principale della personalità. [...] Allora la dimostrazione dell’esistenza di Dio appartiene alla costituzione della persona e si radica nell’intimo della sua libertà. [...] E il Bene Supremo è il Primo Principio nella sfera del causare e muovere e quindi anche e anzitutto nello spingere l’uomo alla Verità, a chiarirne il significato con il ritorno al suo fondamento e compimento”6.

È chiaro quindi che una sana morale si può fondare solo su un fondamento metafisico di vera libertà. Infatti “la moralità è la proprietà costitutiva dell’azione umana, colta alla sua prima radice ch’è la libertà, come capacità di scelta nella determinazione originaria dell’ultimo fine”. In questo ambito, la libertà e la norma si pongono in un rapporto originalissimo in quanto “non sono dei momenti dialettici, ma costitutivi l’uno per l’altro”. Va da sé che “non c’è libertà senza norma”, in primis la legge naturale come principio di normatività universale in quanto “partecipazione della legge eterna nella creatura razionale” (S. Th. I-II, 91,2) . Ma soprattutto “non c’è norma senza libertà”. Ecco perché il governo tirannico non ha alcun fondamento giuridico, ed è puro arbitrio, non legge nel senso originario del termine che indica giustizia, l’equilibrio della bilancia, limite alle azioni umane affinché il debole non venga travolto dalle prepotenze dei più forti, e così via. La sfera della libertà è quella della “soggettività radicale” ossia della “profondità dell’Io che libera se stesso e si attua mediante le sue aspirazioni”. Al contrario, “il mondo della scienza e della tecnica oggi avanza con la sicura presunzione di plasmare il mondo dell’uomo” e vediamo con quali, folli, conseguenze. Infatti questo presunto “mondo fatto ‘a misura d’uomo’”, senza prospettiva soprannaturale, “ha per legge il rimando all’infinito, poiché l’inquietudine dell’homo faber non conosce e non ammette soddisfazione né riposo poiché questo mondo tecnologico è lanciato all’infinito: ormai la stessa fantasia sembra in ritardo sulle prospettive della tecnica di costruzione e distruzione dell’evo imminente” Quella che Fabro definisce “la schiavitù della tecnica”, ossia “l’uniformità organizzata” che è “lo strumento più sicuro del dominio completo della terra”. È “a causa dell’oblio dell’essere” che “l’uomo si è scoperto come vuoto di essere che si spinge fino alla negazione di Dio” e si trova quindi “esposto al demonismo della tecnica”7. Ed è la realtà dispotica e distopica che si realizza schiacciando ogni libertà del Singolo.



1 La preghiera nel pensiero moderno,Edizioni di Storia e Letteratura 1983, p. 26s.

2 “Oratio est ascensus mentis in Deum”, s. Giovanni Damasceno, De Fide Orthodoxa III, 24

3 L’uomo e il rischio di Dio, Editrice Studium, 1967, p. 372s.

4 La preghiera nel pensiero moderno, cit., p.10

5 L’avventura della teologia progressista, cit. p. 53-55

6 La preghiera nel pensiero moderno,cit., p.374-376

7 L’avventura della teologia progressista, cit. p.129s., 139, 141


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