(Marcello Veneziani) – Ma cos’è in gioco nella legge
sull’omotransfobia, nelle porte aperte ai migranti, nella difesa dei
confini, nel principio di sovranità, nel politically correct, nella
cancel culture, nei rapporti con gli islamici, i neri e i cinesi? È in
gioco la civiltà. O se preferite, è la partita tra diritti umani e
civiltà.
C’erano una volta la destra e la sinistra, i conservatori e i
progressisti, i nazionalisti e gli internazionalisti. O se volete, i
fascisti e gli antifascisti, i comunisti e gli anticomunisti. Ora,
nell’era globale della pandemia e del governo di unità nazionale guidato
da un tecnico super partes, come si dividono le opinioni politiche e le
convinzioni civili? Le suddette categorie benchè ancora usate, sono
logorate dal tempo e dall’abuso; perdono forza nelle molteplici
varianti, nei mutati contesti e negli usi polemici e residuali con cui
vengono adoperate. Non sono più in grado di rappresentare la realtà e le
divergenze attuali. E allora su cosa realmente si dividono oggi gli
italiani, gli europei, gli occidentali, quali sono i temi sensibili più
rilevanti?
In primo luogo i temi della biopolitica, ovvero gli
ambiti che riguardano la vita e la morte, la nascita e i sessi, la
denatalità, le adozioni e le maternità surrogate, le unioni omosessuali e
le famiglie, il diritto alla vita o all’aborto, i cambi d’identità e il
transumanesimo, l’animalismo, i costumi, la droga. In secondo luogo
investono direttamente le categorie “protette” perché
ritenute non tutelate adeguatamente dalle leggi e dai costumi vigenti:
vale a dire le donne, i migranti, i neri, gli omosessuali, i trans, i
rom, le minoranze religiose. In terzo luogo riguardano la memoria storica collettiva,
le identità, le eredità religiose dei popoli, le tradizioni, le usanze e
il loro rifiuto, i classici e la loro cancellazione, le arti e la
censura, la toponomastica, i monumenti, le feste e le giornale mondiali,
il passato e la sua negazione. Sono questi i temi che più dividono sul
piano politico, civile o ideale, oltre quelli contingenti, sanitari o
economici. La posta in gioco è la civiltà, minacciata dall’interno e
dall’esterno. Tutti i temi classificati come “divisivi” per il governo
in carica (la legge Zan, la questione migranti, lo ius soli) risalgono a
quel dualismo.
Le vecchie etichette prima citate non bastano più né si può liquidare
in modo manicheo e denigratorio chi si oppone ai precetti del
neoconformismo, come se la sfida fosse tra diritti umani e razzismo (più
varie fobie). Invece da una parte c’è il sentire comune dei popoli,
formatosi nel tempo e nelle generazioni; dall’altra c’è il nuovo canone
di correttezza imposto dalle classi dominanti. Ovvero antichi pregiudizi
di popolo contro nuovi pregiudizi ideologici.
Classifichiamo le due linee contrapposte in modo rispettoso per
entrambe: da una parte prevale la preoccupazione per i diritti umani,
dall’altra prevale la difesa della civiltà in pericolo. Ovvero da una
parte sono in gioco i cardini della civiltà – la
famiglia, il senso religioso, i legami comunitari, la tradizione, i
simboli, l’amor patrio; per la parte opposta invece è in gioco
l’acquisizione di nuovi diritti civili, globali, di genere, di
minoranza. Incluso il diritto di cambiare connotati, sesso e
cittadinanza.
I conflitti più aspri vertono infatti su razzismo, sessismo,
colonialismo, suprematismo, islamofobia, xenofobia, omofobia,
negazionismo, ma sono variazioni sullo stesso tema: la civiltà o i
diritti umani globali.
Difendere la civiltà vuol dire tutelare le identità, le sovranità
nazionali, la cristianità, le culture tradizionali. Promuovere i diritti
umani significa invece sostenere l’emancipazione globale degli
individui e dei popoli dalle loro culture, storia e tradizioni, ma anche
dalla loro natura e differenze.
Chi difende la civiltà ama la comunità a partire dai più vicini. Chi
difende i diritti umani ama il global a partire dai più lontani. Chi
difende la civiltà riconosce i diritti in relazione ai doveri e a
partire dai diritti naturali; rispetta il passato, il presente e il
futuro e reputa intramontabili alcuni fondamenti. Chi difende i diritti
umani si pone nella prospettiva del presente globale e sostiene le
mutazioni. Chi difende la civiltà vuol tutelare le differenze
dall’omologazione globale e dal riduzionismo radicale. Chi difende la
società globale vuole azzerare le differenze e tutelare in modo speciale
alcune diversità.
Difendere la civiltà non significa voler tornare indietro ed esaltare
la guerra, la supremazia maschile, lo schiavismo, l’odio di classe o
razziale. Vuol dire assumersi l’eredità della civiltà, delle tradizioni,
dei simboli, senza riproporle meccanicamente nelle forme arcaiche; vuol
dire non giudicare il passato con le lenti del presente, non processare
o cancellare la storia perché differisce dalle odierne sensibilità, ma
riconoscere la storia così com’è e poi distinguere quel che è vivo e
quel che è morto, quel che è sempre valido e quel che invece è
trapassato, con realismo; senza confondere il piano storico con quello
giudiziario e il piano giudiziario con quello morale e ideologico.
La battaglia politica e sui social verte su queste contrapposizioni.
Si sta alimentando un gigantesco senso di colpa della civiltà
euro-occidentale per l’uomo bianco, etero, cristiano, figlio e genitore.
Tutto viene ripassato nella padella del nuovo conformismo: dalla storia
ai sessi, dalla cultura ai fumetti. È curioso notare che molti convinti
europeisti sono in realtà affetti da eurofobia: odiano la propria
civiltà e la processano in ogni campo.
Panorama, n.19 (2021)