C’è del marcio in
Lombardia, nella Diocesi che fu di Sant’Ambrogio, e non da oggi, né
da ieri, ma almeno dagli anni Cinquanta del secolo scorso.
Una
delle sedi principali di corruzione teologica fu sicuramente il
Seminario di Venegono che ha formato legioni di sacerdoti, molti dei
quali ancora operanti (tra cui l’attuale titolare della Diocesi
Mario Delpini), in uno spirito che definire modernista è dire poco.
L’insigne tomista padre Cornelio Fabro, nel suo magistrale saggio
pubblicato nel 1974 da Rusconi, L’avventura della teologia
progressista, ha smascherato uno di questi corruttori, il cui
insegnamento preannuncia già tutti i deragliamenti venuti allo
scoperto in modo così evidente ai giorni nostri. Stiamo parlando del
sacerdote lecchese Ambrogio Valsecchi che ha insegnato Teologia
Morale indisturbato a Venegono dal 1957 al 1967. Braccio destro del
cardinale Colombo al Concilio Vaticano II, fra i principali fautori
della marxista Teologia della Liberazione, prete operaio nella Torino
della Fiat, infine ridotto allo stato laicale da Paolo VI nel 1975.
Ecco la dottrina immorale di questo “Pornoteologo”, come lo
definisce Cornelio Fabro: Valsecchi identifica l’amore cristiano
con l’amore sessuale, quello terreno a livello animale, e considera
l’attività sessuale “funzione primaria di crescita spirituale”
e “fattore di socializzazione”. Non si tratta, si badi bene, di
una sessualità finalizzata alla generazione, come insegna la
dottrina cattolica, ma semplicemente dell’eros come realizzazione
del “rapporto io-tu”. Per Valsecchi i numi tutelari del “nuovo
corso” sono Freud e il marxista Marcuse. La moralità non si deve
basare su una “legge naturale immutabile”, come stabilisce il
Cristianesimo, ma sulla consapevolezza che “la natura umana varia
al variare continuo e inevitabile dell’autocomprensione che l’uomo
o il gruppo sociale ha di se stesso”, in un determinato luogo e in
un determinato tempo. Al di là del linguaggio involuto, contorto e
ambiguo proprio di questi “nuovi teologi”, ciò che risulta
evidente è che non esiste una “natura umana” stabilita, ma tutto
è “fluido”, tutto va “sperimentato”. Così non esiste
maschio o femmina, e si può benissimo accettare una “natura umana”
trans, geneticamente manipolata, robotizzata... Va da sé che
Valsecchi critica fortemente sia san Paolo che osa condannare come
contraria alla natura umana l’omosessualità, sia Paolo VI che
nella Humanae Vitae difende la legge naturale contro la
contraccezione. Anzi, nel capovolgimento della teologia tradizionale
operato da Valsecchi, si arriva al punto di “comprendere”, e di
fatto considerare leciti, il peccato solitario, la pederastia, i
rapporti prematrimoniali o quelli al di fuori del matrimonio. “Chi
sono io per giudicare”? dice oggi l’occupante della sede di
Pietro, sulla scia di questa impostazione. E così Valsecchi sembra
quasi anticipare le tematiche dei “teologi LGBT”, come il gesuita
americano James Martin, in quella che Fabro chiama la “morale
dell’immoralità e della sconcezza”.
All’epoca
Valsecchi fu tra i principali sponsor e difensori del futuro
cardinale ciellino Angelo Scola, il discepolo di don Giussani già in
odore di eresia ai tempi del seminario. Quando Scola venne nominato a
ricoprire la sede vescovile ambrosiana, nell’omelia di
insediamento, ricordò con senso di gratitudine e stima la figura
“sofferta” del suo maestro, che lo ha “spalancato alla fede”.
Verrebbe da chiedersi: quale fede?
ANDREA
COLOMBO