Uno dei duecento uomini arrestati per l’assalto di Capitol Hill del 6
gennaio scorso ha lavorato a lungo con l’Fbi, con incarichi riservati e
ad alto livello, come denota il fatto che gli fosse stato rilasciato un
“nulla osta della sicurezza”, che ha conservato per “decenni”.
Lo conferma peraltro la sua carriera: l’uomo è stato, infatti, “capo
sezione per l’FBI dal 2009 al 2010 e ha diretto una società di
consulenza che collaborava con diverse agenzie governative degli Stati
Uniti”.
Gli ex collaboratori dell’Fbi a Capitol Hill
La persona in questione è Thomas Edward Caldwell, ora sotto processo,
membro, evidentemente non secondario, dell’organizzazione di destra
Oath Keepers. A rivelare la carriera di Caldwell è stato il suo
avvocato, che in base a tale collaborazione pregressa ha presentato
istanza di scarcerazione.
Ne ha scritto The Hill e la notizia è stata rilanciata da diversi giornali internazionali, tra cui il Timesofisrael.
Più che improbabile che l’avvocato di Cladwell abbia raccontato
frottole, dato che si sarebbe esposto a un crimine facilmente
smascherabile dall’Fbi. Rischiare la prigione per difendere un assistito
non rientra nella gamma delle strategie legali…
Ma evidentemente il legale di Caldwell non si aspettava che le sue
rilevazioni facessero il giro del mondo, creando non poco imbarazzo alla
Sicurezza americana, come evidenzia il fatto che, contattata da The
Hill, l’Fbi abbia osservato un imbarazzato silenzio.
Silenzio al quale successivamente si è attenuto anche il legale,
anch’esso contattato dal quotidiano americano. Un silenzio che sembra
aver ben altra motivazione, dato che gli avvocati in genere aspirano
alla risonanza mediatica, che può favorire un’evoluzione positiva del
processo, ma soprattutto gli procura notorietà e quindi clienti. Deve
aver capito di aver commesso un tragico errore…
Il suo assistito non era uno dei tanti assaltatori occasionali di
Capitol Hill, per intenderci la massa giunta a Washington per
manifestare il proprio sostegno a Trump che poi si è ritrovata a
partecipare a uno degli eventi più traumatici degli Stati Uniti, più o
meno equivalente al tragico settembre 2001.
Mentre assaltava il Campidoglio, infatti, Caldwell postava sulle
piattaforme digitali messaggi che incitavano ad associarsi all’assalto,
lodando se stesso per le sue qualità di “istigatore”.
Non solo, durante l’aggressione riceveva messaggi da qualcuno ben
informato che gli dettagliava gli spostamenti degli occupanti del
palazzo del potere, messaggi come questo: “Tutti i membri [della Camera
ndr] sono nei tunnel”…
Insomma, personaggio alquanto enigmatico, come enigmatici restano i suoi informati referenti.
In una nota precedente avevamo
riferito che un altro esponente di spicco della destra eversiva
americana, anch’essa protagonista dell’assalto, aveva lavorato per
l’Fbi: si tratta di Henry “Enrique” Tarrio, leader incontrastato dei
Proud Boys, anch’egli sotto processo. Un po’ troppo Fbi in tutto questo.
Sviste
In altra nota, invece, abbiamo riferito come l’assalto a Capitol Hill
era stato ampiamente e dettagliatamente pubblicizzato via internet,
tramite le piattaforme social. Operation Occupy Capitol Hill era la parola d’ordine che circolava da tempo sulle piattaforme in questione.
Messaggi che si rincorrevano in particolare su facebook, con tanto di mappe dettagliate del Palazzo da occupare.
Questa informazione va letta anche alla luce della nota che abbiamo pubblicato ieri, nella quale riferivamo l’articolo del Time che
raccontava di un’operazione segreta, una cospirazione, che aveva unito i
titani del business, sindacati, attivisti e “benefattori”
multimiliardari per detronizzare Trump.
E che aveva tanti obiettivi, tra questi quello di monitorare
l’informazione “nemica” su internet, cioè la “disinformazione”.
Operazione sulla quale erano state ampiamente sensibilizzati i giganti
dei social, che vi avevano aderito con entusiasmo.
Una campagna che aveva dato risultati, come si evince dalla
moltitudine di account di esponenti e attivisti della parte avversa che
si sono visti revocare o sospendere l’account. E dalla massa di
informazione “corretta” riversata nel web per contrastare la
“disinformazione” in questione.
Eppure, nonostante questo monitoraggio capillare, e nonostante la
sensibilizzazione estrema dell’Fbi nei confronti dei pericoli posti alla
sicurezza americana dal razzismo e dal suprematismo, i messaggi
relativi all’assalto a Capitol Hill hanno continuato a circolare
liberamente, fino al disastro del 6 gennaio.
Questi i fatti. Le domande poste da tale sviste progressive sono
tante, le risposte latitano. Riportiamo le dichiarazioni rese il 21
ottobre del 2020, in una conferenza stampa, dal direttore dell’Fbi Christopher Wray, sulle potenziali “interferenze straniere” o “altri crimini legati alle elezioni”.
“L’FBI sta lavorando a stretto contatto con la comunità di
intelligence, così come con altri nostri partner federali, statali e
locali, per condividere informazioni, rafforzare la sicurezza e
identificare e contrastare qualsiasi minaccia”.
Una svista madornale prima dell’assalto e un’imbarazzante noncuranza
durante l’assalto medesimo, come da dichiarazioni del responsabile della
Sicurezza di Capitol Hill, il sergente d’armi Paul Irving, il quale ha
affermato di aver contattato per ben sei volte la Guardia nazionale per chiedere protezione, inutilmente.
Affermazione che riteniamo veritiera perché Irving sa bene che le sue
parole avrebbero potuto essere confutate facilmente tramite una banale
verifica ai tabulati telefonici. Tant’è.
Ps. È iniziato il secondo impeachment contro Trump. Non sembra ci
sia la maggioranza necessaria (tre quarti dell’assise), quindi non
dovrebbe passare. Probabile, quindi, che successivamente i suoi
antagonisti proveranno a ricorrere al 14° emendamento della
Costituzione, che vieta cariche istituzionali a chi si sia macchiato di
“insurrezione o ribellione” contro le istituzioni medesime (vedi National Interest).
dal sito
L'Antidiplomatico